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Salute Mentale e Lavoro: Perché i Programmi Aziendali Non Bastano (e Cosa Funziona Davvero)

Negli ultimi anni, le aziende hanno investito come mai prima nella salute mentale dei dipendenti.

Ma questi investimenti stanno davvero dando risultati?

La risposta è: non sempre.

Secondo la ricerca del McKinsey Health Institute, è il momento di cambiare approccio.

Una nuova urgenza globale:

Programmi Aziendali ecco cosa funziona

Con la pandemia da Covid-19 e le sue conseguenze, il benessere mentale sul lavoro è diventato una priorità dichiarata per molte aziende. Secondo un’indagine McKinsey condotta in 15 Paesi tra il 2022 e il 2023, oltre l’80% dei responsabili HR considera la salute mentale un tema strategico (McKinsey, Thriving Workplaces).

Il problema?

C'è un gap del 22% tra la percezione dei datori di lavoro e quella dei dipendenti sulla reale qualità dell’ambiente di lavoro. Troppi programmi si concentrano su soluzioni individuali — come corsi di resilienza, yoga o app di meditazione — senza affrontare le cause strutturali del burnout.

Cos'è davvero il burnout?

Il burnout non è solo stanchezza.

È una condizione psico-fisica cronica, spesso legata a fattori ambientali:

  • Carico di lavoro eccessivo

  • Mancanza di supporto

  • Sensazione di non avere controllo

  • Trattamento percepito come ingiusto

  • Essere sempre reperibili

Questi sono i fattori sistemici che causano il burnout, e che nessun programma di mindfulness può risolvere da solo.

❌ Il limite dei programmi individuali

La ricerca di McKinsey è chiara: gli interventi individuali non bastano.

Le organizzazioni che trascurano il contesto lavorativo perdono talenti, vedono calare la produttività e assistono a fenomeni come le Grandi Dimissioni (McKinsey, Mind the Gap).

8 domande per il cambiamento sistemico:

1. La salute mentale è davvero una priorità strategica?

Le aziende che trattano il benessere come una metrica chiave — al pari di performance finanziarie o turnover — ottengono migliori risultati in termini di coinvolgimento e produttività.

2. Stiamo affrontando i comportamenti tossici?

Sono i principali predittori del burnout. Dove il comportamento tossico è diffuso, i dipendenti hanno 8 volte più probabilità di esaurirsi (McKinsey, Burnout in the Workplace).

3. Il nostro ambiente è davvero inclusivo?

L’inclusività non è solo diversità: è creare un contesto dove tutti possano contribuire, essere ascoltati e sentirsi parte del gruppo.

4. Offriamo opportunità di crescita?

La crescita professionale è tra i principali fattori di fidelizzazione.

Offrire mobilità interna e upskilling è più efficace di aumenti di stipendio.

5. Promuoviamo il lavoro sostenibile?

Significa offrire flessibilità, tempo per il recupero e leadership empatica.

Alcune aziende usano dati in tempo reale per modellare soluzioni su misura per i diversi team.

6. I leader sono responsabilizzati?

I manager devono essere formati per sostenere il benessere mentale e monitorati tramite feedback anonimi e metriche specifiche.

7. Stiamo affrontando lo stigma?

Parlare apertamente di salute mentale è il primo passo. Leader che mostrano vulnerabilità autentica creano un ambiente sicuro.

8. Le nostre risorse rispondono alle reali esigenze?

Accesso difficile a servizi di supporto, assenza di benefit per la cura familiare e approcci impersonali rendono inutili molte risorse esistenti.

Un esempio virtuoso?

Patagonia, che ha il 100% di retention tra le neomamme grazie a servizi childcare in sede.

Cambiare sistema, non solo sintomi

Mai come oggi, le aziende hanno il potere di cambiare la vita dei propri dipendenti. Ma per farlo serve un cambiamento profondo, che parta da una revisione del lavoro stesso: ambienti più sani, leadership più umana, organizzazioni capaci di ascoltare.

Chi saprà farlo, attrarrà e tratterrà i talenti migliori.

Chi non lo farà, continuerà a perdere risorse, produttività e reputazione.

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